Relazione del Cons. Avv. Mauro MAZZONI al convegno sulle “Fake News e la Manipolazione della Realtà” del 05/02/2020.

FAKE NEWS

L’AVVOCATO ONLINE ASPETTI

DI DEONTOLOGIA FORENSE

          RELAZIONE CONS. AVV. MAURO MAZZONI

      ARGOMENTI TRATTATI

  1. Breve premessa: Internet e le Fake News;
  2. Profili deontologici;
  3. Codice Deontologico Forense dal 1997 ad oggi;
  4. Sentenze del CNF;
  5. Caso Groupon;
  6. Impegno del COA di Roma ovvero Protocollo d’Intesa del Consiglio dell’Ordine Avvocati di Roma e l’Ordine dei Medici di Roma;
  7. In conclusione, come possiamo difenderci dalle Fake News ed in generale dalle false informazioni diffuse dalla Rete;

Allegati relativi alle questioni trattate.

  1. Articolo Stupro a Firenze pubblicato il 9 settembre 2017;
  2. Pubblicità Groupon offerta servizi legali;
  3. Delibera COA Firenze del 9 novembre 2011 n. 5;
  4. Protocollo Ordine Avvocati Roma Ordine Medici Roma;
  5. Sentenza del CNF del 28 dicembre 2017 n. 243;
  6. Sentenza del CNF del 29 aprile 2017 n. 49;
  7. Sentenza del CNF del 9 marzo 2017 n. 8.

Le Fake News, l’Avvocato online aspetti di

Deontologia Forense

BREVE PREMESSA

FAKE NEWS – INTERNET E I SOCIAL NETWORK

L’avvento di internet solo venti anni fa, veniva accolto come l’inizio di una nuova era per la nostra civiltà. Internet, invece, è diventato ai giorni nostri una fonte continua ed inesauribile di informazioni, per di più sommerse da un mare di disinformazioni, a tal punto da impedirci di distinguere e separare il vero dal falso.  Internet infatti ha reso possibile l’accesso, senza intermediari, ad una quantità sconfinata di informazioni e questo ha influito sul nostro modo di accedere alla conoscenza. Non essendoci più intermediari a selezionare e filtrare le notizie, ognuno di noi in Rete è contemporaneamente produttore e consumatore di contenuti. La Rete invero dà la possibilità a chiunque di partecipare alla creazione e alla condivisione dei contenuti informativi digitali. Partendo dalla rivoluzione digitale ed in particolare dalla Rete, che avrebbe dovuto portare democrazia, risvegliare le coscienze e rendere accessibile a tutti le informazioni, nel tempo tutto ciò si è trasformato in un efficace sistema volto a controllare, manipolare la realtà ed orientare infine le masse. Tra l’altro, come osservato, ciascun utente della Rete ha facoltà di esprimere e pubblicizzare la sua opinione attirando ad essa eventuali consensi adesivi. È dato acclarato che il grado di attendibilità e autorevolezza dell’informazione pubblicata online, non è data dalla sua verificabilità o esattezza, ma dal numero dei lettori, dalla quantità di condivisioni ottenute e dalla riproduzione della medesima informazione all’interno di altri contenuti.

Ma una cosa è l’informazione, altra cosa è invece la conoscenza, richiedendo quest’ultima tempo, fatica e soprattutto la messa in discussione e la riorganizzazione di quanto si sapeva dapprima. Accade invece di frequente di scambiare una rapida informazione per conoscenza della stessa. Inoltre, non tutte le fonti di informazione hanno la stessa attendibilità e lo stesso valore. Si consideri che la maggior parte delle informazioni pubblicate in Rete, utilizzano un linguaggio scarno senza una compiuta argomentazione, accompagnandosi per lo più ad immagini a corredo del testo, privilegiando quindi la forza persuasiva delle immagini a discapito dell’approfondimento. L’utente viene quindi volutamente portato a non riflettere sul contenuto informativo pubblicato, venendo piuttosto sollecitato nella sua emotività ed irrazionalità. La produzione di informazioni segue, per di più, la logica pubblicitaria e del marketing, che mirano ad orientare il comportamento del pubblico ed il conseguente raggiungimento di determinati e prestabiliti risultati. Con l’avvento dei Social Network, quindi, sempre più persone leggono, condividono e commentano contenuti che non sempre sanno interpretare e comprendere. Tale fenomeno è stato ben descritto con la locuzione di “Analfabeta Funzionale”. Secondo l’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) “l’Alfabeta Funzionale è incline a credere a tutto quello che legge in maniera acritica, non riuscendo a comprendere, valutare, usare e farsi coinvolgere da testi scritti per intervenire attivamente nella società, per raggiugere i propri obiettivi e per sviluppare le proprie conoscenze e potenzialità”.

La nostra società, sempre più complessa, richiede infatti lo studio continuo da parte di tutti con conseguente sviluppo del senso critico, per saper interpretare la realtà e distinguere le informazioni attendibili da quelle che non lo sono.  Investire quindi nella cultura, significherebbe dotare ogni persona delle capacità minime di comprensione della realtà ed il conseguente sviluppo del senso critico attraverso il quale ricercare le fonti di provenienza delle informazioni acquisite, anche e non solo in Rete.

Per fare un esempio, si riporta in breve, l’articolo giornalistico pubblicato, anche online, il 9 settembre 2017 su “il Secolo XIX” e sulla “Stampa”:

“Stupro di Firenze, trovate tracce: i due carabinieri indagati. Accanto alla notizia veniva altresì riportata la seguente frase: “Però non si può neppure dimenticare che tutte le studentesse americane in Italia sono assicurate per lo stupro e a Firenze su 150-200 denunce all’anno, il 90 per cento risulta falso” (All. doc. n. 1).

L’attento lettore non poteva non domandarsi che cosa fosse una “assicurazione per lo stupro”, e quanto fosse credibile l’esistenza di una assicurazione di tal genere. Le ragazze americane, in realtà, non avevano sottoscritto alcuna assicurazione anti-stupro, ma solo una generica assicurazione che viene normalmente stipulata dalle università americane per i loro studenti che si recano all’estero. Risultava altresì falso che a Firenze vi fossero state 150-200 denunce l’anno per violenza sessuale e per di più il 90% infondate. Per cui di fronte a qualunque notizia occorre porsi in maniera critica avanzando alcune semplici domande, a partire da chi mi sta dando delle informazioni, su quale Sito sto leggendo, da chi è gestito quel Sito, e a quale scopo scrive. Occorre altresì osservare se vi è una presenza debordante di pubblicità, circostanza che ci deve indurre a ritenere il Sito di bassa qualità e affidabilità. Occorre altresì domandarsi se vengono citate le fonti a sostegno di quanto affermato e quali esse siano. Oggi in particolare si parla di RETE, ma l’uomo ha sempre mentito sfruttando semplicemente i sistemi in suo possesso: dalle pergamene del Medioevo, alla radio, TV ed oggi infine la Rete. La Rete, d’altro canto, si sta dimostrando il sistema più insidioso ed efficace per la trasmissione in tempo reale delle cosiddette Fake News. 

Le “Fake News” si inseriscono efficacemente in questo vasto sistema di interrelazione di Rete, essendo molto più semplice ed economico raggiungere le grandi masse e di conseguenza orientare ovvero disorientare i fruitori. Le Fake News hanno trovato, attraverso la Rete, terreno feritile e la loro viralità non a caso è annoverata dal World Economic Forum* già dal 2013, tra i rischi globali della nostra società.

*World Economic Forum è una fondazione senza fini di lucro. Organizza incontri tra esponenti di primo piano della politica, economia internazionale, intellettuali e studiosi, sulle tematiche di maggior importanza ed interesse a livello internazionale.

Gli sviluppi tecnologici di questi ultimi anni stanno, quindi, esasperando la nostra perdita collettiva di riferimenti, favorendo la deformazione della verità e la normalizzazione delle menzogne.

Partendo da questa breve ma necessaria premessa, si comprende come la Rete abbia investito ogni aspetto e settore della nostra vita; da un lato ci ha permesso di acquisire più informazioni, da l’altro ha contribuito a farci perdere la capacità di acquisire autonomamente conoscenze facendoci abituare alla raccolta di dati preconfezionati da altri, attraverso un sapere non sempre attendibile. Se quanto ora rappresentato lo rapportiamo alla nostra professione, si comprende quali danni possono causare le Fake News ed in genere, le false notizie diffuse in Rete. Noi avvocati infatti, sempre di più e spesso ci informiamo e documentiamo in Rete per acquisire conoscenze spendibili anche nella nostra professione. E sempre di più utilizziamo la Rete, per “render pubbliche” le nostre competenze professionali.

PROFILI DEONTOLOGICI

Abbiamo ormai sostituito la ricerca e lo studio tradizionale per di più manualistico, con le facili soluzioni proposte dalle RETE.

La nostra professione, però non può limitarsi a questo, dobbiamo uscire dalla logica della sterile ricerca in Rete di soluzioni a noi più semplici e congeniali e riacquistare il nostro ruolo di esperti del diritto – esperti nella scienza e nella pratica del diritto, ovvero “peritus iuris” in chiave moderna. Utilizzatori dei sistemi tecnologici e non soggetti passivi e recettivi senza spirito critico di nozioni provenienti dalla massa incontrollata a cui ci espone la Rete.

L’esercizio della professione intellettuale è di fondamentale importanza nello sviluppo di una società democratica ed il riconoscimento del valore sociale della nostra professione si concretizza nella necessaria ed adeguata formazione culturale, per mezzo della quale si forma l’autonomia decisionale del professionista a tutela degli interessi dell’intera collettività. La formazione dello spirito critico e la formazione dello spirito democratico devono essere le facce della stessa medaglia, per arrivare ad essere dei cittadini ancor prima che professionisti, liberi dubitanti ed interpreti della realtà.

Per cui la tecnologia, internet e i social network devono essere relegati a servizio ed ausilio dell’avvocato, del suo autonomo sapere e del suo indipendente spirito critico. Solo attraverso la formazione professionale e lo studio potremmo renderci autonomi di determinare consapevolmente le nostre scelte. Il Nostro Codice di Deontologia Forense specificamente prevede i doveri a cui deve attenersi il professionista: Dovere di probità, dignità, decoro, indipendenza art. 9; Dovere di diligenza art. 12; Dovere di competenza art. 14; Dovere di aggiornamento professionale e di formazione continua art. 15; Doveri di lealtà e correttezza verso i colleghi e le istituzioni forensi art. 19. Doveri che devono far parte del DNA dell’avvocato e che non possono essere oggetto di negoziazione, essendo gli stessi posti a tutela e garanzia della professionalità e competenza del professionista. Solo richiamandosi a detti principi, l’avvocato potrà acquisire la giusta consapevolezza del ruolo che riveste all’interno della società, riappropriandosi del “potere della cultura giuridica”, sottraendosi conseguentemente al dominio delle leggi di mercato che cercano di posporre la professionalità e la competenza dell’avvocato, all’offerta di “servizi legali” a miglior prezzo. Lo “Status” professionale, infatti, non lo si acquisisce solo con l’iscrizione all’Albo, ma lo si deve quotidianamente garantire attraverso lo studio, lo sviluppo del libero pensiero, in osservanza delle regole poste dall’Ordinamento. L’avvocato quindi non può e non deve sottostare al dominio delle leggi di mercato e del conseguente sistema del “mercantilismo” delle professioni *(espressione utilizzata dal Presidente del CNF Avv. Andrea Mascherin), ma dignità e decoro, e tutti i principi contenuti nel nostro Codice di Deontologia Forense, devono essere assunti a sistema e strumento del buon operato di ogni singolo professionista.

La Legge Professionale ed il Codice di Deontologia Forense, oggi come ieri, devono costituire le fondamenta della vita professionale dell’avvocato, esplicitando gli stessi una funzione di garanzia e controllo.

Per cui l’esercizio dell’attività forense deve fondarsi sull’autonomia e indipendenza dell’azione professionale, così come enunciato dalla Legge Professionale art. 3, la quale testualmente recita:

La professione forense deve essere esercitata con indipendenza, lealtà, probità, dignità, decoro, diligenza e competenza, tenendo conto del rilievo sociale che riveste, nel rispetto dei principi sopra delineati e della corretta e leale concorrenza”.

Parimenti l’art. 9 del Codice di Deontologia Forense il quale statuisce che:

“L’avvocato deve esercitare l’attività professionale con indipendenza, lealtà, correttezza, probità, decoro, diligenza e competenza, tenendo conto del rilievo costituzionale e sociale della difesa, rispettando i principi della correttezza e leale concorrenza”. 

Principi che contengono la saggezza dei nostri predecessori, che ci hanno demandato il compito di riempire quotidianamente di contenuti questi intramontabili precetti, con la consapevolezza che gli stessi rappresentano i capisaldi della nostra libertà, professionalità ed indipendenza.

Spetta quindi a noi avvocati credere nell’importanza che riveste la nostra professione e la nostra conseguente professionalità, valorizzandone gli aspetti qualitativi che danno lustro all’avvocatura, non permettendo l’entrata nel nostro mondo forense delle politiche del “prezzo migliore” ma della qualità della prestazione professionale offerta, anche attraverso il costante e continuo aggiornamento professionale.

Come scriveva efficacemente Jeremy Riefkin nel saggio pubblicato nell’aprile 2001, dal titolo: L’era dell’accesso. La rivoluzione della new economy,l’assorbimento della sfera culturale in quella economica, segnala un cambiamento radicale nelle relazioni umane, con conseguenze devastanti per la civiltà del futuro…..e dagli albori ad oggi, la cultura ha sempre avuto la priorità sul mercato…Ripristinare un equilibrio adeguato fra dominio della cultura e quello dell’economia diventerà una delle questioni cruciali dell’era dell’accesso prossima ventura”.

Per cui la cosiddetta crisi dell’avvocatura, tanto ancor oggi declamata, non nasce solo dalla vorticosa ed incessante invasione dei Social Network, sebbene gli stessi abbiano assunto un forte dominio, piuttosto nel loro uso a volte poco consapevole da parte della stessa classe forense. Ed è proprio questo l’aspetto più importante che ci porta oggi, a dover considerare le potenzialità che potrebbero offrire all’avvocato le nuove tecnologie di comunicazione, se le stesse fossero percepite quali sistemi a servizio dell’avvocato e non viceversa.

Pertanto le stesse offerte di prestazioni legali a basso costo, le quali tra l’altro spesso nascondono delle vere e proprie false rappresentazioni della realtà, penalizzano pesantemente non solo l’intera classe forense, ma anche la stessa collettività. Non a caso molti studi legali, pubblicizzano costi irrisori per carpire clientela, promettendo risultati eccellenti sulla scorta di presunti successi professionali, tra l’altro mai raggiunti.

Pertanto, se leggiamo attentamente la Legge Professionale ed il Codice Deontologico Forense, nessuna norma vieta all’avvocato di fare pubblicità informativa della propria attività professionale, purché la stessa sia rispettosa dei dettati normativi ivi previsti. In particolare, la Legge Professionale Forense all’art. 10 stabilisce quanto segue:

“È consentita all’avvocato la pubblicità informativa sulla propria attività professionale, sull’organizzazione e struttura dello studio e sulle eventuali specializzazione e titoli scientifici e professionali posseduti. La pubblicità e tutte le informazioni diffuse pubblicamente con qualunque mezzo, anche informatico, debbono essere trasparenti, veritiere e corrette e non devono essere comparative con altri professionisti, equivoche, ingannevoli, denigratorie o suggestive”. Inoltre, l’art. 11 della Legge Professionale: “L’avvocato ha l’obbligo di curare il continuo e costante aggiornamento della propria competenza professionale al fine di assicurare la qualità delle prestazioni professionali e di contribuire al migliore esercizio della professione nell’interesse dei clienti e dell’amministrazione della giustizia”.

Codice Deontologico Forense dal 1997 ad oggi

Giàil codice deontologico forense del 1997 poneva l’attenzione verso l’utilizzo dei sistemi di informatizzazione da parte dell’avvocato, introducendo la norma di cui all’art. 17bis: Modalità dell’informazione”.

L’articolo 17bis nella parte conclusiva forniva puntuali indicazioni sulle stesse caratteristiche che doveva avere il Sito Web dell’avvocato e sugli obblighi di comunicazione in Rete. In particolare, si imponeva al professionista l’utilizzo esclusivamente di Siti Web con domini propri e direttamente riconducibili al professionista, con l’obbligo di anticipare all’Ordine di appartenenza le comunicazioni relative “alla forma ed il contenuto in cui gli stessi Siti Web erano espressi”. Non erano ammessi riferimenti commerciali e/o pubblicitari, né medianti l’indicazione diretta, né mediante banner o pop-up di alcun tipo. Un prima revisione alla norma dell’art. 17bis si ebbe nel 2006 con la cosiddetta “Legge Bersani”, la quale ha abrogato i minimi tariffari e il divieto di pubblicità informativa.

Nel 2014 si giunse, quindi alla “semplificazione e razionalizzazione” dei canoni contenuti negli artt. 17 e 17bis della precedente formulazione, ora presenti nell’art. 35 del nuovo codice di Deontologia Forense. Per cui veniva abrogato l’art. 17bis e riformulato l’art. 17 con nuova intitolazione, ovvero: “Informazione sull’esercizio dell’attività professionale” contente precetti di carattere generale i quali stabiliscono che:

E’ consentita all’avvocato, a tutela dell’affidamento della collettività, l’informazione sulla propria attività professionale, sull’organizzazione e struttura dello studio, sulle eventuali specializzazioni e titoli scientifici e professionali posseduti. Le informazioni diffuse pubblicamente con qualunque mezzo, anche informatico debbono essere trasparenti, veritiere, corrette, non equivoche, non ingannevoli, non denigratorie o suggestive e non comparative. In ogni caso le informazioni offerte devono fare riferimento alla natura e ai limiti dell’obbligazione professionale”.

L’attuale art. 35 del codice di deontologia forense, prendendo atto che il professionista non utilizza solo il Sito Web, ma anche e soprattutto i blog, Facebook, Twitter ecc. ha appositamente inserito la seguente specificazione: “quale che siano i mezzi utilizzati per rendere le stesse”, facendo esplicito riferimento ad ogni mezzo utilizzato dal professionista; nei limiti dei doveri sanciti dal codice di deontologia forense, in specie doveri di: VERITA’, CORRETTEZZA, TRASPARENZA, SEGRETEZZA E RISERVATEZZA e specifici DIVIETI: di rendere informazioni comparative, equivoche, ingannevoli, denigratorie o suggestive. Il professionista deve quindi uniformarsi ai principi delineati all’art. 35, in relazione sia alla disciplina dettata dall’art. 17 “Informazione sull’esercizio dell’attività professionale” sia di quella contenuta negli articoli 28 “Riserbo e segreto professionale” nonché a quella di cui all’art. 37 “Divieto di accaparramento”. Pertanto mentre in passato era previsto che l’avvocato potesse usare Siti Web con domini propri ma senza alcun reinderizzamento e previa comunicazione al Consigli dell’Ordine di appartenenza, ora invece è prevista la possibilità per il professionista di utilizzare profili social: Facebook, Linkedin, Twitter ecc. con o senza reinderizzamento, potendo altresì sfruttare vetrine virtuali su siti creati da terzi. La comunicazione all’Ordine dei Siti Web, ovvero di tutti i profili social di conseguenza e venuta meno, considerato che soprattutto gli Ordini più grandi non sarebbero in grado oggigiorno di gestire la mole delle comunicazioni Social degli iscritti.

Su punto si riporta il parere espresso dal CNF in data 27 aprile 2011, n. 49, per cui: “L’utilizzo di un social network come Facebook e Twitter, in cui il primo accesso è del tutto libero e che contemporaneamente dà la possibilità di consentire l’ulteriore accesso ai propri dati esclusivamente a discrezione del titolare del profilo, impedisce da un lato la conoscenza al COA della frequentazione da parte dell’avvocato, e dall’altra parte una possibilità di accedere al profilo in maniera non “filtrata” dallo stesso avvocato. D’altro canto sarebbe impensabile che i Consigli dell’Ordine, soprattutto quelli con elevatissimo numero di iscritti, in decine di migliaia, potessero effettuare continuamente controlli a tappeto per verificare se un iscritto, nell’utilizzo di social network – (nel caso di Youtube l’accesso è totalmente libero e privo di qualsiasi forma di iscrizione) – nel fornire informazioni sulla propria attività, si attenga a quei principi deontologici sopra richiamati”.

La revisione dell’art. 35 del Codice di Deontologia Forense ha quindi eliminato in radice ogni resistenza, aprendo di fatto un ampio varco all’utilizzo di ogni forma di informazione in Rete, senza alcun previo controllo. Questa apertura ha determinato non poche critiche stante la pericolosità di creare forti pregiudizi alla stessa immagine dell’avvocatura, che già da anni non gode di ottima salute. Sul punto il CNF e la Suprema Corte hanno voluto precisare che la liberalizzazione delle informazioni in Rete rese dagli avvocati, viene comunque arginata dai limiti di natura deontologica verso i quali l’avvocato dovrà in ogni caso uniformarsi. 

ESTRATTI SENTENZE DEL CNF

CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE, SENTENZA DEL 28.12.2017 N. 243

L’avvocato può dare informazioni sulla propria attività professionale “con qualunque mezzo”, nel rispetto dei limiti della trasparenza, verità, correttezza e purché l’informazione stessa non sia comparativa, ingannevole, denigratoria o suggestiva. Conseguentemente, non può (più) considerarsi contrario al decoro ed alla correttezza un messaggio pubblicitario, che contenga tutti gli elementi richiesti dalla predetta disciplina deontologica, sol perché enfatizzi il corrispettivo – se congruo e proporzionato – il quale costituisce un elemento contrattuale di interesse primario per il cliente e, quindi, un elemento fondamentale per un’informazione pubblicitaria professionale corretta e completa (testo integrale in allegato).

CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE, SENTENZA DEL 29 APRILE 2017, N. 49

La pubblicità sull’attività professionale, ai sensi degli artt. 17 e 35 Cdf (già 17 e 17bis Cod. Deont. Previgente) deve essere rispettosa della dignità e del decoro professionale e quindi di tipo semplicemente conoscitivo, potendo il professionista provvedere alla sola indicazione delle attività prevalenti o del proprio curriculum, ma non deve essere mai né comparativa né autocelebrativa. Nel caso posto all’attenzione del CNF, in una pagina del Sito Web, il professionista si definiva “specialista assoluto”, enfatizzando altresì le proprie doti professionali, implicitamente negate alla parte restante della categoria professionale (testo integrale in allegato).

CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE, SENTENZA DEL 9 MARZO 2017 N. 8

I principi in tema di pubblicità di cui alla legge 248/2006 (c.d. Decreto Bersani) pur consentendo al professionista di fornire specifiche informazioni sull’attività e i servizi professionali offerti, non legittimano tuttavia una pubblicità indiscriminata avulsa dai dettami deontologici, giacché la peculiarità e la specificità della professione forense, in virtù della sua funzione sociale, impongono, conformemente alla normativa comunitaria e alla costante sua interpretazione da parte della Corte di Giustizia, le limitazioni connesse alla dignità ed al decoro della professione, la cui verifica è dall’Ordinamento affidata al potere – dovere dell’ordine professionale (testo integrale in allegato).

Parimenti ed in linea alle determinazioni del CNF si rammenta altresì il D.lgs 09.04.2003 n. 70 ovvero “Attuazione della direttiva 2000/31/CE relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione nel mercato interno, con particolare riferimento al commercio elettronico” all’art. 10, in tema di “Uso delle comunicazioni commerciali nelle professioni regolamentate” ha espressamente imposto la conformità della comunicazione proveniente da chi esercita una professione regolamentate, alle regole deontologiche, in particolare indipendenza, dignità, onore, segreto e lealtà verso il cliente, ma anche verso i colleghi.

I nuovi orientamenti sia normativi che giurisprudenziali prescindono quindi dagli strumenti di comunicazione utilizzati dal singolo professionista, in considerazione del fatto che, solo la professionalità del singolo è in grado di vincere la sfida della nostra epoca contrassegnata dall’utilizzo incontrollato dei Social Network, attraverso i quali hanno avuto facile dominio le cosiddette FAKE NEWS, ovvero la disinformazione di massa.  

CASO GROUPON

Nel 2011 veniva pubblicato su Groupon il seguente annuncio: “Trattazione di un procedimento stragiudiziale senza ricorrere alla vie legali a €. 39 invece di €. 500, oppure due procedimenti a €. 69 invece di €. 1.000.

L’offerta proveniva da uno studio di Infortunistica denominato: “Giusto Risarcimento”, di Pistoia, operante su gran parte del territorio toscano. Il sito prometteva sconti sino al 92% senza ricorrere alle vie legali (niente processi, avvocati o aule di tribunale). Accanto alle declamate attività professionali a prezzi stracciati, venivano indicati gli esempi delle liquidazioni ottenute da “Giusto Risarcimento” e gli ottimi risultati raggiunti. Per meglio chiarire si riportano due casi pubblicizzati dallo studio.

1. “Renzo – uomo di 61 anni presidente associazione no profit, investito sulle strisce pedonali, postumi invalidanti ottenuti 27% proposta definitiva della compagnia assicuratrice euro 105.000, transazione conclusa dopo consulenze e attività extragiudiziale dello studio con euro 165.000”.

2. Nirmal – uomo 18 studente, conducente ciclomotore, postumi invalidanti ottenuti 66%, proposta definitiva della compagnia euro ZERO, rigetto della domanda risarcitoria di tre diversi studi legali intervenuti nel tempo (per esclusiva responsabilità del danneggiato nella causazione del sinistro), transazione ottenuta dopo le nostre consulenze e la nostra attività euro 50.000”.

Nonostante quanto sopra evidenziato, alla fine si è ritenuto che fosse del tutto legittima l’attività legale offerta dallo studio di infortunistica denominato “Giusto Risarcimento”, sulla scorta che non vi sono leggi che impediscano l’offerta di consulenze legali anche a chi non ha i titoli per farle.

Sul punto però, veniva avviata un’indagine da parte del COA di Firenze e richiesto un parere circa le attività legali erogate dallo studio in questione. Il COA di Firenze in data 9 novembre 2011, con delibera n. 5 sanciva che la partecipazione da parte degli avvocati a tale sistema di diffusione dei propri servizi, oltre ad essere a carattere prettamente commerciale, contrastava con plurime norme dell’allora vigente codice Deontologico, in particolare con l’art. 17 bis (sito Web non direttamente appartenente o riconducibile all’Avvocato, ora abrogato) art. 19 comma 1 (accaparramento di clientela nei confronti di una pluralità indifferenziata di possibili interessati, anche mediante agenzie o procacciatori) art. 19, comma 2 (che vieta la corresponsione a terzi di provvigioni o compensi alla presentazione di un cliente); art. 22 (comportamento ispirato a correttezza e lealtà, con richiamo all’art. 2598 del cod. civ., che vieta all’operatore economico gli atti di concorrenza sleale, tra i quali la cessioni di servizi a prezzo largamente inferiore a quello corrente ed ai costi sostenuti); art. 35 (fiducia reciproca tra professionista e cliente, laddove nel caso la scelta del professionista viene effettuato soltanto in relazione all’entità modestissima dell’onorario), art. 36 canone 2 (l’avvocato, prima di accettare l’incarico deve accertare l’identità del cliente). Si fa presente che nel caso sopra richiamato nessun avvocato era coinvolto, ma la questione ha dato modo all’Ordine degli Avvocati di Firenze di chiarire e riaffermare la necessità per il professionista di tenere costantemente un comportamento ispirato a correttezza e lealtà, anche attraverso l’applicazione di prezzi non concorrenziali e spesso di gran lunga inferiori ai costi sostenuti. (All. doc. n. 2 e n. 3).

L’IMPEGNO DEL COA DI ROMA –

Protocollo Ordine Avvocati di Roma e Ordine dei Medici di Roma (All. doc. n. 4)

In conclusione, come possiamo difenderci dalle Fake News ed in generale dalle false informazioni diffuse dalla Rete.

Per meglio comprendere come difenderci dalle “Fake News” dobbiamo necessariamente partire da come le Fake News hanno ottenuto un così grande successo. Il successo delle Fake News, abbiamo avuto modo di osservare, è dovuto senz’altro dalla scasa qualità dell’informazione, ma anche e soprattutto dalla capacità di divenire elemento aggregativo, quest’ultimo meglio definito con la locuzione di “camere dell’eco”. Le “camere dell’eco” rappresentano nella nostra società dei mezzi di comunicazione di massa, caratterizzata da una forte interattività, situazioni in cui informazioni, idee o credenze più o meno veritiere vengono amplificate da una ripetitiva trasmissione e ritrasmissione all’interno di un ambito omogeneo e chiuso, in cui visioni e interpretazioni divergenti finiscono per non trovare considerazione (Definizione Dizionario Treccani). Le parole e le frasi “risuonano” sempre uguali a sé stesse, da qui il termine “camere dell’eco” fino a cancellare il dissenso e a non essere più messe in discussione.  Questo fenomeno è esattamente il contrario alla democratizzazione dell’informazione, che fu uno dei pilastri della diffusione di Internet nel mondo.

Per cui come possiamo uscire quindi dalla dilagante ed incontrollata massa delle Fake News e dalle false rappresentazioni proposte dalla Rete?

In Rete sono stati addirittura predisposti dei “decaloghi” che dovrebbero aiutare a far riconoscere all’utente le false informazioni.

Facebook ha ad esempio promesso di far rimuovere qualunque post che contenga incitazione all’odio, nudità, minacce di violenza e disinformazione dannosa.

Ma la stessa piattaforma Facebook non è stata in grado di individuare i criteri per poter definire una disinformazione dannosa, ritenendo di essere di fronte ad una sfida aperta.

Ci sono state anche proposte di istituire delle Autorità Indipendenti che dovrebbero rivestire il ruolo di “sorveglianza” dell’informazione in Rete, filtrando contenuti ovvero apponendo dei “bollini” per indicare le informazioni cosiddette affidabili. Quest’ultima iniziativa sembra addirittura essere stata controproducente, si è visto infatti che evidenziando le notizie “inaffidabili” le stesse sono state ritenute più “vere” rispetto a quelle certificate con il “bollino” di attendibilità (Caso elezioni americane Trump).

Alcuni hanno pensato alla creazione di strumenti inibitori, repressivi e sanzionatori, ad esempio il sequestro immediato o l’oscuramento dei Siti Web che diffondono Fake News.

Altri invece hanno sostenuto di dover trovare nella normazione statale la risposta alle Fake News diffuse in Rete, con delle leggi ad hoc le cosiddette “Leggi per la verità” e quindi stabilire per legge qual è l’informazione vera”. Chiaramente la proposta è stata ritenuta ancor più dannosa, tra l’altro con vistosi profili di incostituzionalità, stante la palese violazione all’ art 21 Cost., che espressamente attribuisce a tutti la libertà di manifestare liberamente il proprio pensiero. Appare altresì evidente che tale diritto non possa estendersi alla menzogna.

Per completezza, si fa presente che nel febbraio 2017 è stato presentato un disegno di legge, avente ad oggetto:

“Disposizioni per prevenire la manipolazione dell’informazione online, garantire la trasparenza sul web ed incentivare l’alfabetizzazione mediatica”. In particolare il disegno di legge, propone l’introduzione di nuove figure di reato, in particolare: l’art. 656bis c.p. “Pubblicazione o diffusione di notizie false, esagerate o tendenziose, atte a turbare l’ordine pubblico, attraverso piattaforme informatiche”; l’art. 265bis e 265ter, c.p., aventi ad oggetto rispettivamente la “Diffusione di notizie false che possono destare pubblico allarme o fuorviare settori dell’opinione pubblica” e la “Diffusione di campagne di odio volte a minare il processo democratico”. Il disegno di legge, affronta altresì il tema della c.d. “Alfabetizzazione Mediatica” con progetti di sensibilizzazione e sviluppo di programmi di formazione volti a promuovere un uso critico dei media online, attraverso la formazione adeguata a livello scolastico e non solo.

Come osservato, quindi, la ricerca di soluzioni di contrasto alle Fake News ed in generale alle false informazioni diffuse dalla Rete, non è così facile ed immediata. Sicuramente la verifica dei fatti attraverso la verifica delle fonti è il primo elemento dal quale partire, dovremmo essere noi tutti dei veri e propri “Fact-checking” ovvero dei verificatori della verità.

Per cui la miglior risposta la ritroviamo sempre in noi, nella nostra capacità di autodeterminarci, attraverso lo studio e la ricerca continua delle fonti di informazione, coltivando il dubbio ed acquisendo una corretta metodologia analitica, per non sottostare ai dogmi e ai miti delle tossiche informazioni, con l’ausilio di un maggior rigore repressivo e sanzionatorio nei confronti degli autori e committenti delle campagne di disinformazione.

Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma, a conferma dell’importanza che riveste la formazione professionale continua, profonde gran parte delle energie e risorse, nella valorizzazione della professionalità degli avvocati, anche attraverso una proficua ed attenta promozione di corsi di formazione gratuiti. Parimenti è compito di ogni Avvocato rispettare i doveri di verità, correttezza, trasparenza, segretezza e riservatezza, non dando informazioni comparative con altri professionisti né equivoche, denigratorie, suggestive o che contengano riferimenti a titoli, funzioni o incarichi non inerenti all’attività professionale, nel rispetto della dignità e decoro, pietre miliari della professione forense.

Pertanto, il problema non possiamo rivolgerlo ai Social Network, alla Rete o in genere agli sviluppi tecnologici, piuttosto dovremmo noi avvocati svolgere la professione con lo sguardo volto ad una maggior attenzione alle regole che disciplinano il nostro operato, a garanzia e tutela della nostra professionalità, quale parte necessaria di un sistema giudiziario e garanzia dei diritti e della libertà dell’intera collettività.

Roma, Convegno del 5 febbraio 2020